Le origini mamelucche degli Arcani Minori

» Posted by on Lug 18, 2017 | Commenti disabilitati su Le origini mamelucche degli Arcani Minori

Cartomanzia araba

Premetto di aver tratto le informazioni contenute qui di seguito da un articolo di Angelo Iacovella pubblicato sulla rivista Oltreconfine (ed. Spazio Interiore) e dal sito web curato da Andrea Pollett a_pollett.tripod.com, un vero e proprio scrigno per gli amanti e i collezionisti di carte da gioco.

Ho già parlato, in questo blog, di quanto siano controverse le origini dei Tarocchi: la maggior parte degli studiosi ritiene che siano stati creati in Italia nel XV secolo, ma altri contestano questa ipotesi, facendone risalire la nascita a molti secoli prima. Oggetto di discussione è anche la composizione originaria del mazzo: una minoranza sostiene che esso fosse composto da 78 carte fin dagli inizi, ma è molto più diffusa – e anche più realistica, dal mio punto di vista – la tesi che considera Arcani Maggiori e Arcani Minori due elementi di diversa provenienza, il cui congiungimento sarebbe avvenuto in un momento successivo alla loro creazione.

Per quanto riguarda gli Arcani Minori, la tesi maggiormente accreditata è quella secondo cui essi deriverebbero dalle carte arabe, mamelucche per la precisione. Nel 1938, infatti, lo storico dell’arte Leo Mayer, nel corso di un inventario condotto presso il Museo Topkapi di Istanbul, scoprì un mazzo di carte, probabilmente proveniente dall’Egitto e risalente al xv secolo, senza dubbio somigliante, quanto alla struttura generale, al mazzo degli Arcani Minori. Tale esemplare, di fattura mamelucca, è considerato il più antico mazzo arabo di cui si abbia notizia, anche se qualche soggetto isolato in altre collezioni è ritenuto risalente ad oltre due secoli prima. L’analisi delle carte rinvenute ha evidenziato l’esistenza di un nesso di derivazione dei cosiddetti “naibi”, carte da gioco italiane e spagnole composte da 4 semi e varie figure di corte, da un simile gioco arabo più antico denominato “Mulûk wa Nuwwâb”, ovvero “Re e Vicerè”.

Prima di passare alla descrizione di queste carte, desidero soffermarmi brevemente sulla storia della casta militare dei mamelucchi, presso cui esse ebbero origine. “Mamelucco” è un vocabolo arabo il cui significato – “sottomesso”, “posseduto” – evoca la storia di questo popolo. Nel XII secolo, infatti, i regnanti del sultanato ayyubide, localizzato nell’area nord-orientale dell’Africa, cominciarono ad affidare ai propri schiavi ruoli militari di basso livello, presumendo di poter, in tal modo, controllare meglio le proprie milizie. Gli schiavi in questione erano stati deportati da aree del Caucaso, della Russia meridionale e dell’Asia centrale, ma in seguito si erano completamente arabizzati; generazione dopo generazione, essi riuscirono ad accedere alle più elevate cariche militari, finchè divennero abbastanza potenti da rivoltarsi contro l’ultimo sultano ayyubide: nel 1250, costui fu assassinato e sostituito dal primo regnante mamelucco, fondatore del ramo turco della dinastia. Un secolo più tardi, salì al potere un sultano appartenente al ramo circasso della dinastia: questi regnanti si mostrarono molto più deboli dei precedenti, tanto che nel 1517 l’Egitto e la Siria, principali territori dell’impero mamelucco, vennero conquistati dai turchi e divennero province del nascente impero ottomano. Tuttavia, il nuovo sultano scelse per questi territori dei vicerè mamelucchi, fatto che permise loro di mantenere il potere e di accrescere progressivamente il controllo sulle forze armate e sull’amministrazione, fino a giungere a un passo dalla fondazione di uno stato indipendente. Nel 1811, però, il nuovo vicerè d’Egitto orchestrò un massacro che provocò la morte di molti rappresentanti mamelucchi e decretò la fine di questa dinastia.

Come si è detto, il mazzo rinvenuto da Mayer appare di incontrovertibile fattura mamelucca. E’ certo, però, che le carte da gioco non siano state inventate né dai mamelucchi né dai loro predecessori ayyubidi, ma che abbiano avuto origine in Cina intorno all’anno Mille: da qui, il gioco delle carte avrebbe raggiunto i territori arabi attraverso lo sterminato impero mongolo e in particolare tramite la Persia, anello di congiunzione tra quest’ultimo impero e quello mamelucco. Sarebbero poi stati gli arabi, verso la metà del XIV secolo, ad introdurre questa novità nel mondo cristiano, sull’onda degli intensi scambi commerciali intessuti tra Italia e Spagna da un lato, Egitto e Medio Oriente dall’altro.

Il mazzo di carte scoperto da Mayer a Istanbul, in effetti, presenta una struttura sorprendentemente simile a quella che caratterizza i suoi omologhi occidentali. In origine il mazzo mamelucco, giunto incompleto fino a noi, era costituito da 52 carte suddivise nei 4 semi che ben conosciamo: Spade o Scimitarre (suyûf), Coppe (tûmân), Denari (darâhim) e Bastoni da polo (jawkân). Ciascun seme si componeva di 13 carte, 10 carte numerali e 3 “figure”, ovvero Re (Malik), Vicerè (Nâ’ib al-malik) e Vicerè in seconda (Nâ’ib thânî). Ho posto tra virgolette il termine figure perchè in realtà, in accordo con il principio islamico che vieta le rappresentazioni antropomorfe, esse contengono soltanto i nomi dei personaggi cui si riferiscono, unitamente alla raffigurazione dei semi di appartenenza.

L’immagine che segue mostra quattro esempi di carte numerali, uno per ciascun seme:

Da sinistra a destra: Sette di Spade, Cinque di Coppe, Otto di Denari, Cinque di Bastoni da polo

Da sinistra a destra: Sette di Spade, Cinque di Coppe, Otto di Denari, Cinque di Bastoni da polo

Qui di seguito riporto invece tre esempi di “figure”:

Da sinistra a destra: Re di Spade, Re di Coppe, Re di Denari

Da sinistra a destra: Re di Spade, Re di Coppe, Re di Denari

In pratica, l’unico elemento che differenzia la struttura di questo mazzo da quella degli omologhi esemplari occidentali è l’assenza della Regina, inevitabile nell’ambito della cultura islamica dell’epoca. Nelle carte da gioco europee sarebbe appunto stata aggiunta una figura femminile, mentre il Vicerè si sarebbe trasformato nel Cavaliere e il Vicerè in seconda nel Fante o Paggio.

Sempre in ambito europeo sarebbero nati i Tarocchi, risultanti dall’unione delle carte da gioco (esplicitamente chiamate “carte saracene”) con un gruppo di 22 soggetti illustrati (spesso citati come “carte da trionfi” o “carte di Lombardia”), ovvero i 22 Arcani Maggiori. Secondo l’ipotesi prevalente, questi ultimi sarebbero nati in Italia nella prima metà del XV secolo, ma alcuni studiosi contestano fieramente questa congettura, sostenendo che gli Arcani Maggiori (se non addirittura i Tarocchi nel loro complesso) abbiano avuto origine in Francia in un’epoca precedente.

Un’altra questione assai dibattuta è se il gioco delle carte (e quindi anche il Tarocco) sia veramente nato a scopo ludico, o se in origine non avesse piuttosto una finalità educativa. Per quanto riguarda gli Arcani Maggiori, credo che nessuno possa dubitare del loro ruolo di strumento figurato posto al servizio dell’evoluzione della Coscienza. E’ possibile, però, fare la stessa affermazione anche a proposito degli Arcani Minori? Credo che proprio le carte mamelucche di cui ho parlato in questo articolo (e dalle quali deriverebbero le carte da gioco europee) possano contribuire a dare una risposta affermativa. Occorre ricordare, infatti, che l’Islam vieta la pratica del gioco d’azzardo, ed è quindi impensabile che i mazzi di carte arabi siano nati con una esclusiva finalità ludica. A conferma di questa tesi vi sono le enigmatiche iscrizioni contenute in alcune carte del mazzo rinvenuto a Istanbul: si tratta di frasi allegoriche che confermano la convinzione che il “gioco” si prefiggesse un obiettivo educativo o moraleggiante. Il Vicerè di Denari, ad esempio, fa questa affermazione in prima persona: «Simile sono a un giardino e nessuno mi è pari!».

Sulla carta del Re di Coppe, invece, è riportata una frase che, a mio giudizio, potrebbe senz’altro appartenere al repertorio del Re di Coppe dei Tarocchi marsigliesi, ovvero:

«Lascia che venga a me, perchè il bene acquisito è durevole; mi rende gioioso con tutta la sua utilità.»

«Lascia che venga a me, perchè il bene acquisito è durevole; mi rende gioioso con tutta la sua utilità.»